Qual è il modo migliore per insegnare al piccolo a impadronirsi del linguaggio? E, quando è più grandicello, come si può aiutarlo ad arricchire il suo vocabolario? Ecco i consigli di due pedagogiste
Le prime parole del pargolo sono accolte con grande tenerezza ed emozione da ogni genitore. Quando il piccolo inizia a parlare sembra che entri in una 'nuova' fase, forse così gradita dall'adulto perché pare semplificare la relazione.
Che cosa devono fare i genitori per un buon sviluppo del linguaggio del bambino? E via via che cresce che cosa possono fare per arricchire il suo vocabolario? Ecco i consigli di Monica e Rossana Colli, sorelle pedagogiste, che da anni lavorano con bimbi in età prescolare e scolare, autrici di numerosi saggi dedicati al mondo dell'infanzia e all'apprendimento.
1. Parlare fa rima con gattonare e camminare
Il bambino piccolo ripete le fasi evolutive dell’umanità: prima gattona, a sei-12 mesi, poi si alza in piedi e cammina, dai 10/12 mesi in avanti, infine parla, tra i 18-24 mesi. “È importantissima questa fase propedeutica di movimento per il linguaggio. Mentre parliamo, infatti, noi accompagniamo continuamente la parola ai gesti”, dice la pedagogista Rossana Colli.
2. Ci vuole una mamma “sufficientemente buona”
“Per poter apprendere il linguaggio il piccolo ha bisogno di avere vicino una mamma 'sufficientemente buona' (definizione di D. W. Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese del secolo scorso ndr), amorevole e paziente (o una tata con le stesse caratteristiche ) che gli porta la lingua madre. Lo può fare attraverso canzoncine e filastrocche per le dita delle mani da fare sul corpo del bimbo pronunciando le parole con calma e in modo corretto,” dice Rossana Colli.
Quando incomincia la lallazione, dai cinque-sei mesi, ovvero il classico ma-ma; ba-ba; ta-ta, il lattante incomincia a plasmare una parte del suo cervello, quella che gli servirà a parlare. Questo linguaggio 'primitivo' è un linguaggio universale che appartiene a tutti i popoli del mondo.
In altre parole, il bambino impara il linguaggio “attraverso l’imitazione dell’adulto di riferimento. Le prime parole dei bambini sono sostantivi: mamma, papà, pappa. Successivamente, aggiunge degli aggettivi: mamma-bella; pappa-buona. L’aggettivo, a differenza del sostantivo, avvicina, crea una relazione con l'altro”, dice l'esperta.
Per i bimbi più grandi, soprattutto dai quattro ai sette anni, anche la scuola gioca un ruolo importante per arricchire il loro vocabolario. “In questo caso, è importante che l’insegnante sia un’abile narratrice: così, per imitazione, i bambini saranno portati a raccontare a loro volta, esercitandosi nella lingua”.
3. Evitare il bambinese
In ogni caso, è importante utilizzare con i bambini piccoli un linguaggio veritiero, ricco di immagini belle. “Non si deve usare il bambinese ('Vuoi bubu’?- Vuoi dodo?) ma occorre ricordare che è il bambino a dover 'salire' e non l’adulto scendere,” dice la pedagogista.
4. Ogni cosa ha il suo nome
La mamma e il papà devono sforzarsi di nominare sempre le cose con il loro nome. Per esempio, mi passi la palla blu? “Il bambino, infatti, fino al primo settennio procede per imitazione e impara osservando e ascoltando quello che succede intorno a lui,” dice la pedagogista Monica Colli.
5. Il potere delle filastrocche…
Non si parla solo per dare indicazioni o regole. La mamma, come si è detto sopra, dovrebbe ricordarsi di nutrire il linguaggio del bambino con le filastrocche. “Sarebbe importante recitarle già durante la gravidanza e poi riproporle al neonato e, in seguito, al bimbo più grande. Perché la filastrocca è una poesia-bambina che si accorda per suono e ritmo a quella del cuore-tamburo (lo dicono gli scrittori per l'infanzia Roberto Piumini e Bruno Tognolini),” dice la pedagogista.
6. … dei libri e delle fiabe
A casa (come al nido e alla scuola dell'infanzia), anche il genitore può ricorrere a preziosi 'alleati' per favorire l'apprendimento di nuove parole in modo giocoso e divertente. “I libri, iniziando da quelli senza parole e poi con parole e semplici frasi, insieme a fiabe e filastrocche, sono il primo, e validissimo, strumento, per arricchire il vocabolario del bambino”, dice Monica Colli.
7. Giocando si impara anche a parlare!
Una buona strategia per aiutare il bambino più grandicello (dalla materna in poi) ad accrescere il suo lessico è sicuramente il gioco. L’autore di riferimento per questo approccio è Gianni Rodari (il libro di riferimento per avere tante idee è la Grammatica della fantasia). “Un'idea può essere quella di trovarsi insieme, magari la sera dopo cena, e chiedere 'Quale parola avete imparato oggi?', 'Con quale parola magica ti vorresti addormentare?”, dice Monica Colli.
Anche divertente, per esempio, invitare il bimbo a cercare le parole dolci in cucina, quelle fredde in bagno, quelle calde in tutta la casa...
E ancora: si può giocare agli “elenchi”. L'elenco, è un ottimo stratagemma per arricchire il lessico giocando. Basta poco... “La tua cartella piena di libri, con che cosa potremo riempirla? Di sogni, dolci, animali..”
8. Che cosa significa quella parola?
Già alla scuola dell'infanzia, il bimbo può imparare tante nuove parole, “grazie a belle letture e a una relazione significativa con l'adulto”. Il bimbo, a volte, 'inciampa' in parole che non conosce e lui stesso imparerà a chiedere alla mamma (o alla maestra): 'Cosa vuol dire?', 'Cosa significa?'. E poi, userà anche termini difficili in modo appropriato”.
9. Smartphone, tablet e tv, sì o no?
Oggi, il bimbo vive, spesso, in mezzo a computer, tablet, smartphone: mezzi tecnologici, come quelli touchscreen, facili da usare anche per lui. Passarci del tempo per giocare con fiabe interattive, storie e canzoncine aiuta ad ampliare il vocabolario del piccolo?
“Determinati contenuti, se scelti con cura, possono essere strumenti utili ma ci deve essere altro: la relazione con l'adulto e il tempo per seguirlo”, dice Monica Colli. Attenzione però: i bambini devono passare poco tempo con questi nuovi strumenti e non tutto il loro tempo libero come si vede sempre più spesso.
E la 'vecchia tv', può aiutare a sviluppare il linguaggio? “Per metterlo davanti alla tv, sono assolutamente necessarie alcune accortezze, programmi e contenuti adatti, colori non troppo accesi, che sono dannosi, soprattutto per i più piccoli,” dice Colli. Le stesse cautele arrivano anche dall'American Academy of Pediatrics: lo schermo della tv (e anche quello di pc o smartphone, specifica uno studio di quest'anno, vale come la tv) andrebbe evitato fino ad almeno due anni. Più avanti, occorre fare molta attenzione alla quantità di tempo e ai programmi a cui il piccolo viene esposto.
10. Troppa fretta non fa bene al linguaggio
“Il linguaggio si sviluppa quando c'è tempo per sostare, per indugiare, serve lo 'spazio' nella mente per rielaborare e 'vagolare'. Anche nella scuola dell’infanzia varrebbe la pena fare di meno, ma osservare di più i bambini con tutto quello che ci portano. In altre parole, qualsiasi capacità intendiamo sviluppare nel bambino deve essere proposta attraverso i gesti, i suoni e i ritmi... Ecco perché filastrocche e girotondi piacciono tanto – dice la pedagogista.
Il linguaggio non può e non deve essere pensato come uno strumento usa e getta. Al contrario, è uno strumento del pensiero, di relazione e di comunicazione e ha bisogno di tempo per diventare consistente, crescere e acquisire profondità e spessore. E chissà - conclude la pedagogista - che in questo modo, non si permetta davvero ai bambini del futuro di trovare la propria voce”.
11. Ogni bambino ha i suoi tempi
Non bisogna dimenticare la lezione del celebre psicologo svizzero Jean Piaget: le fasi dell'apprendimento si susseguono in modo regolare ma hanno una durata che varia in base a ogni bimbo e al contesto in cui vive. E, in ogni caso, il piccolo deve essere pronto e maturo per sviluppare determinate capacità. Non tutti i bimbi, per esempio, imparano a camminare a 12 mesi, c’è chi comincia prima e chi dopo e questo vale anche per le prime parole.
Nei primi anni, il bimbo apprende anche portando alla bocca le cose, cerca di farle sue, lui è 'un organo di senso' e assapora quello che lo circonda”.
“L'approccio ideale è seguire le tappe evolutive del bimbo, conoscere quali progressi appartengono a ogni fascia d'età, e poi, in base al bimbo 'reale' che hai davanti, adeguarti. L'accelerazione rischia di creare frammentarietà, confusione, generando insicurezza,” conclude la pedagogista Monica Colli.