I servizi educativi per i più piccoli sono i primi luoghi dell'integrazione interculturale: sono gli spazi entro i quali i bambini s'incontrano con le differenze del quotidiano condiviso, e dove i genitori mettono a confronto i loro modelli educativi e di cura dei figli, mentre gli educatori accolgono, mediano e intrecciano attese diverse.
Negli ultimi anni, i servizi per la prima infanzia accolgono sempre più genitori e bambini che hanno le loro origini altrove e che hanno vissuto il viaggio di migrazione. Tracce e frammenti di culture diverse entrano dunque, insieme a loro, nei servizi per tutti : pongono domande, sollecitano risposte, attendono di essere integrate nella storia di tutti.
La metà circa dei minori stranieri presenti oggi in Italia è nata nel nostro paese e diventerà a tutti gli effetti, alla maggiore età, cittadino italiano.
Sono questi gli utenti, reali o potenziali, che sollecitano gli asili nido a esplorare con più attenzione i temi della cura dei piccoli in contesti diversi, le rappresentazioni culturali dell'infanzia, la diversità degli input educativi precoci.
Il corpo, il cibo, le scelte linguistiche, l'uso degli spazi, le conferme e le punizioni, il rispetto e l'autonomia...: sono alcuni oggetti d'infanzia, raccontati e declinati in maniera diversa, che vanno a comporre il mosaico del mondo bambino "al plurale".
Che chiede di essere conosciuto, scambiato, scomposto e ricomposto dentro servizi educativi e luoghi d'incontro accoglienti e interculturali.
Il fine dell'intercultura è quello di favorire il dialogo tra varie forme di diversità, generando un'apertura mentale che permetta di superare chiusure e preconcetti tutt'oggi operanti nella quotidianità: qui si intende capire come tutto questo si declini nei nidi e nelle scuole d'infanzia.
I servizi 0-6, d'altra parte, rappresentano il luogo naturale, propizio e ideale per sviluppare l'interculturalità: è il luogo dove il bambino viene valorizzato come soggetto e come autore del proprio sviluppo; dove si percepiscono le differenze, senza valutazioni; dove può prendere avvio quel processo di costruzione della cittadinanza basata su un'appartenenza plurale.
La scuola, in tal senso, deve assumere pienamente il pluralismo come tratto culturale stabile e proporre un modello di relazione con l'alterità che potenzi la positività dell'incontro e del reciproco scambio.
A partire dalla formazione degli educatori, allora, bisogna proprio che l'intercultura diventi una forma mentale: l'ascolto attivo si deve praticare nei confronti di bambini e delle loro famiglie; l'accoglienza va realizzata in tutti gli ambiti di relazione; la formazione pedagogica dovrà assumere la forma della ricerca azione per far sì che la pedagogia stessa si realizzi come sapere riflessivo e metariflessivo.
La famiglia immigrata, d'altra parte, sebbene non esista come soggetto sociale omogeneo, è caratterizzata da una complessità particolare: la migrazione è un'esperienza traumatica, di rottura, spesso è perdita dei pieni diritti di cittadinanza; all'arrivo si è nella maggior parte dei casi sprovvisti delle competenze linguistiche del Paese e si è più esposti a forme di discriminazione e sfruttamento.
Le parole delle madri, in particolare, esprimono storie di solitudine, a partire dalla gravidanza per arrivare alle cure del bambino nei primi mesi di vita; anche l'educare i figli in immigrazione è un compito complicato, significa offrire loro gli strumenti per transitare tra culture.
Per tutti questi motivi, tra gli altri, il supporto dei servizi educativi è fondamentale e il lavoro che questi si trovano a fare deve partire dall'accoglienza, da uno sforzo comunicativo nei confronti delle famiglie, spesso in difficoltà per non riuscire a comunicare correttamente con la scuola.
Dunque, l'educazione interculturale è un approccio educativo: nella programmazione (da considerare sempre nella sua dimensione di apertura, di continua rielaborazione) significa elaborare consapevolmente percorsi educativi e di relazione coi genitori finalizzandoli a valorizzare la specificità di ciascuna persona, alimentando la relazione tra i bambini e gli adulti che li curano.
Anche nelle attività di cura, tuttavia, è importante che sia forte la competenza interculturale, nelle routine infatti si presuppone una forte componente relazionale: si pensi all'alimentazione o al sonno.
Le competenze interculturali devono essere cassetta degli attrezzi per l'operatore e dell'educatore per entrare in relazione con genitori e bambini. Genitori stranieri e rappresentazione della scuola dell’infanzia
1° fase: servizio “parallelo” (prima dell’accesso e durante la prima fase dell’inserimento). La scuola è considerata soprattutto un luogo di cura e di protezione che dà risposta alle necessità e ai bisogni della famiglia. Le aspettative sono ridotte e hanno a che fare soprattutto con l’accudimento, la cura del corpo e le esigenze primarie del bambino.
2° fase: servizio “complementare” La scuola dell’infanzia è uno spazio educativo che dà aiuto e sostegno alla famiglia nella crescita del figlio, ma che si rivela importante anche per il bambino stesso. Le aspettative hanno a che fare, oltre che con gli aspetti della cura, anche con i temi della crescita di tipo affettivo, relazionale, comunicativo, linguistico, sociale. La famiglia (le madri soprattutto) pongono alle insegnanti anche domande e dubbi sulle proprie scelte educative.
3° fase: servizio “integrativo” La scuola dell’infanzia è considerata uno spazio educativo importante e positivo per tutti i bambini, indipendentemente dai bisogni della famiglia di accudimento dei loro figli. È attenta allo sviluppo affettivo, relazionale, sociale, linguistico, cognitivo. L’attenzione della famiglia e le aspettative sono indirizzate anche alle attività, agli input educativi, alle proposte del servizio.