Quando un bambino comincia a parlare? Quali sono le fasi dello sviluppo del linguaggio e come stimolarlo? E quali segnali ci avvertono che è consigliabile interpellare un esperto? Tutte le risposte di Alessandra Resca, logopedista dell'Unità Operativa di Audiologia e Otologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma
Lo sviluppo del linguaggio è qualcosa di naturale e spontaneo, che non c’è bisogno di insegnare: qualsiasi bambino, messo in una comunità di parlanti acquisisce il linguaggio, attraverso le sue varie fasi e partendo da alcuni prerequisiti fondamentali. Ecco come avviene l’affascinante percorso che porta un bambino a parlare.
Lo sviluppo del linguaggio inizia sin dalla gravidanza
Lo sviluppo del linguaggio inizia già dall’ultimo trimestre di gravidanza, quando si sviluppano le strutture uditive ed il bambino viene esposto al linguaggio che riesce ad ascoltare già dentro la pancia della mamma.
Quando nasce, il bambino è predisposto all’apprendimento di tutte le lingue ed è solo intorno all’anno di vita che si stabilizza la specializzazione della lingua: il bambino cioè seleziona la lingua madre alla quale è esposto e dà significato solo ai suoni che compaiono in essa.
Nei primi mesi di vita, si sviluppano i prerequisiti fondamentali del linguaggio
Quando si pensa al linguaggio si pensa subito alla produzione verbale: in realtà il bambino non comincia a parlare dal nulla e le sue prima prime parole sono precedute da alcune tappe, che costituiscono i prerequisiti fondamentali dello sviluppo del linguaggio.
- La comunicazione intenzionale. Il primo prerequisito è la comunicazione intenzionale che si esprime attraverso la gestualità: “Intorno a 10-12 mesi, il bambino si serve dell’indicazione per entrare in relazione con l’adulto, ottenere un oggetto o condividere dei significati” spiega la logopedista. “Non per niente quando legge un libro o vede una cosa interessante indica la figura per condividere l’evento con chi gli sta di fronte”;
- I gesti simbolici. Successivamente, dopo i 14 mesi, compaiono i gesti simbolici, cioè gesti che esprimono un concetto e che vengono usati al posto della parola: un esempio classico è quando si ruota il dito sulla guancia per esprimere il concetto di buono;
- La comprensione. Altro prerequisito, che comincia a comparire sin dagli 8-10 mesi e aumenta via via, è la comprensione delle parole all’interno di una routine comunicativa: ad esempio quando la mamma prepara la pappa e mette il bimbo sul seggiolone dicendo ‘adesso mangiamo la pappa’, il bambino astrae quel termine e lo lega al suo significato. E così ogni volta che la mamma pronuncerà quella parola capirà che è arrivato il momento di mangiare.
- Il passaggio dal reale al simbolico. Un altro passaggio fondamentale affinché si sviluppi li linguaggio è la capacità di passare dal reale al simbolico: una competenza che il bambino comincia ad acquisire intorno ai 2 anni con il gioco del ‘far finta di’ senza avere un oggetto reale - ad esempio quando finge di dar da mangiare alla bambola senza aver nulla in mano - per poi passare alla fase in cui un oggetto acquista un valore simbolico, come quando fa finta di dare una pappa di foglie e sassolini dicendo che è minestrone. Per arrivare infine, dai 3 anni in poi, ai giochi di ruolo, in cui si fa finta che ‘io sono… e tu sei…’
Imparare a parlare non significa ripetere parole
Imparare il linguaggio quindi non significa ripetizione meccanica di una parola ascoltata, ma soprattutto comprensione: più i bambini comprendono e più è ricca la gestualità simbolica, più ci sarà una correlazione significativa con il vocabolario quando arriverà il momento di pronunciare le prime parole.
Quali sono le prime parole che un bambino pronuncia
- La lallazione. La produzione di parole vere e proprie è preceduta dalla cosiddetta lallazione, che compare tra i 6 e gli 8 mesi. “La lallazione non è ancora un linguaggio, ma una sperimentazione funzionale allo sviluppo del linguaggio” dice la logopedista. “Si potrebbe definire un gioco che il bambino fa con il suo apparato fono-articolatorio, nel momento in cui abbassa la mandibola e prova a far uscire l’aria; un esperimento che gli piace così tanto che continua a ripeterlo, producendo sempre la stessa sillaba. È il momento in cui è facile che venga fuori il suono ‘mamma’, perché l’esperimento più comune consiste proprio nell’abbassare la mandibola ed unire le labbra alternativamente. In realtà il bambino non ha ancora associato quella emissione di suono al suo significato: col tempo, vedendo che ogni volta che pronuncia questo suono appare la mamma, comincerà ad attribuirgli significato e ad utilizzare quella prima parola per richiamare l’adulto”.
- Le prime parole. A partire dall’anno di età comincia la produzione delle prime parole, fino ad arrivare ai 2 anni, quando il bambino dovrebbe saper produrre tra le 50 e le 80 parole. “Non tutti i bambini cominciano a dire le stesse parole e ognuno ha un suo stile comunicativo: c’è chi pronuncia più parole ma meno comprensibili, altri un minor numero, ma più simili alla produzione dell’adulto” spiega Alessandra Resca. “In genere però i primi termini sono riferiti a mamma e papà, sia perché per il bambino è importante richiamare le sue figure di riferimento, sia perché sono le più facili da formare dal punto di vista articolatorio”.
- L’acquisizione completa del linguaggio. Nel corso del secondo anno di età il bambino perfeziona le regole fonologiche, che gli consentono di capire quali suoni linguistici possono stare insieme per creare un significato e condividerlo. Fino ad arrivare ai 3 anni, quando in genere si completa l’acquisizione del linguaggio, la fonologia, la grammatica di base. L’unica cosa che continuerà ad espandersi per tutta la vita è il lessico, cioè la ricchezza del suo vocabolario.
Cosa fare per stimolare lo sviluppo del linguaggio
Parlargli ed ascoltarlo. Proprio perché è un processo naturale, non serve fare chissà quale ‘addestramento’: per stimolarlo è sufficiente parlargli e giocarci insieme, facendo solo attenzione a rispettare i turni comunicativi: il genitore parla, poi si ferma e ascolta il bambino, riprendendo la parola detta da lui e ripetendola correttamente o inserendola in una frase più ampia.
Non chiedergli la ripetizione delle parole. Nell’ascoltarci parlare, al bambino verrà spontaneo ripetere una o più parole. “Se sbaglia, non gli chiediamo di ripeterle finché non le dice correttamente: basta solo che l’adulto riprenda quel vocabolo dando un modello corretto” sottolinea la dottoressa Resca. “Far ripetere un termine non ha alcun tipo di utilità, anzi interrompe la comunicazione spontanea e la relazione con l’altro. Che sono invece alla base dell’apprendimento del linguaggio.
Raccontare storie. Un altro stimolo efficace è la narrazione: “Raccontare cioè favole o altre storie, magari guardando insieme le figure di un libro” suggerisce la Resca. “E’ importante raccontare e non leggere, perché la lingua scritta, per quanto si tratti di libri per bambini, è pur sempre difficile. Nel racconto invece c’è molto più coinvolgimento, una scelta più adeguata delle parole e l’intonazione giusta, che aiutano il bambino a dare significato a quel che ascolta”.
Perché storpia le parole?
Intorno ai 2 anni, quando l’apprendimento della fonologia si sta ancora sviluppando, è facile che i bambini commettano diversi errori, perché devono ancora acquisire i processi di combinazione dei fonemi per trasformarli in parole significative. “Ci può stare, purché non riguardi tutte le parole che pronuncia e non perduri nel tempo: già a 2 anni e mezzo il bambino dovrebbe avere un bagaglio di suoni pressoché completo e un linguaggio comprensibile” dice Resca.
Come capire se c’è qualche problema
Ogni bambino ha i suoi tempi e può starci che qualcuno parli prima qualcuno dopo, che qualcuno si esprima più correttamente e altri meno. Però è importante che sia un esperto ad esaminare eventuali ritardi nello sviluppo del linguaggio.
In prima battuta ci si rivolge al pediatra. è il pediatra che, attraverso i controlli periodici, può segnalare se c’è qualcosa che non va e chiedere eventualmente un consulto con uno specialista logopedista, che, attraverso semplici test standardizzati, può inquadrare la situazione.
La valutazione del logopedista. “Se ad esempio a 2 anni il bambino non ha ancora imparato le fatidiche 50 parole però ha una adeguata comprensione, una buona capacità simbolica, riesce a comunicare bene attraverso gesti di indicazione, ha camminato in tempo, si accerta che non ci sono problemi uditivi, allora lo specialista può consigliare di aspettare e ricontrollare periodicamente i progressi del bambino” spiega l’esperta. “Se invece non produce parole perché non ha una comprensione adeguata ed ha una scarsa gestualità simbolica, occorrerà in prima battuta accertare che non vi siano disturbi dell’udito o di tipo neurologico.
Se necessario, si incomincia da subito una terapia logopedica. Una volta escluse cause organiche ed appurato che si tratta di un ritardo o di un disturbo del linguaggio, sarà d’aiuto una terapia logopedia che, iniziata per tempo, consentirà al bambino non solo di recuperare al meglio i suoi ritardi nel linguaggio, ma anche di prevenire future difficoltà nell’apprendimento di lettura e scrittura”.